mercoledì 26 ottobre 2011

Punto di vista: ordine e disordine


Una delle prime cose che bisogna fare, quando si comincia la stesura di un racconto, è scegliere il punto di vista. 

La stragrande maggioranza delle storie che leggiamo - praticamente tutte, a conti fatti - è scritta o in prima o in terza persona singolare. La prima persona è quella che dà la sensazione di trovarsi 'dentro' la mente del narratore, è la storia dove il narratore ti racconta cosa ha visto e cosa ha fatto e cosa gli è successo; la terza persona, invece, è quando il narratore non è presente in qualità di personaggio, ma ti racconta cosa succede ad altre persone.

Scegliere di usare la prima o la terza persona non è una scelta di natura grammaticale e non esiste un giusto o uno sbagliato; si tratta di strategia narrativa. L'importante è essere consapevoli dell'effetto che si produce in chi legge.

Si può scrivere in persone che non siano la prima o la terza singolari? Beh, nessuno lo vieta. Qual è il problema di affrontare un esperimento del genere? Che bisogna aver ben chiaro dove si vuole andare a parare scrivendo  in seconda persona singolare o in terza persona plurale. Il lettore è abituato a leggere in prima o in terza persona singolari; un testo che tradisce queste aspettative è un testo straniante. C'è il rischio che il lettore non vada al di là della superficie e che invece di chiedersi "ma chi ha ucciso Jenny?" o "Tom e Mary finiranno insieme?" si chieda piuttosto "ma perché diavolo questo tizio scrive in prima persona plurale?". 

Ora, vale il discorso che ho fatto prima: bisogna essere consapevoli dell'effetto che si produce in chi legge. Proviamo a pensare, ad esempio, a un racconto scritto in prima persona plurale? Che tipo di racconto potrebbe essere?
La Squadra è la Legge. Tommaso questo non riesce a capirlo. Decidiamo allora di aspettarlo fuori dal locale dove lavora. Quando esce dalla porta sul retro e ci vede impallidisce. Ha chiaramente la coscienza sporca.
"Tommaso Lardelli, verrai giudicato per i tuoi Peccati," gli diciamo e lui si mette a gridare, dice che abbiamo oltrepassato il limite, che non è più divertente, e che si è tirato fuori dalle nostre stronzate. Indietreggia e noi avanziamo.
 La prima persona plurale dà un senso di comunità, di gruppo compatto. Immaginatevi una storia dal punto di vista di un gruppo neo-fascista o neo-nazista (L'Onda, di Tod Strasser), questo senso di unità schiacciante, opprimente, totale: la prima persona plurale può rendere in maniera efficace questa perdita dell'individualità per passare all'idea di collettività. Nota bene: il fatto che la scelta sia consapevole e che sia intellettualmente motivata non significa necessariamente che sia una buona idea. Bisogna valutare bene i pro e i contro: una prima persona plurale che vantaggi offre alla narrazione? Come abbiamo visto, rende bene anche sul piano del significante (e non solo su quello del significato) l'idea di collettività; non c'è più l'individuo, c'è il gruppo, che si muove compatto come un'unica entità. È senz'altro suggestivo. Qual è il prezzo da pagare? Si tratta di una tecnica che posso portare avanti per cento e passa pagine senza disturbare il lettore?


L'Onda - Die Welle, film del 2008 di Dennis Gansel
tratto dall'omonimo romanzo

Abbiamo visto quindi che, per quanto riguarda le persone, la norma è scegliere tra una prima e una terza persona singolare. E per quanto riguarda i tempi e modi verbali per le proposizioni principali? Anche in questo caso c'è una norma: di solito la scelta è limitata al presente o al passato remoto dell'indicativo.

Si possono scegliere modi e tempi differenti? Vale lo stesso discorso che abbiamo fatto per le persone: nessuno te lo vieta. Usare tempi e modi verbali "insoliti", però, comporta delle conseguenze, conseguenze di cui bisogna essere consapevoli. Giochiamo con gli effetti speciali. Proviamo a scrivere un brano all'imperativo e vediamo che succede.

Sali le scale. Ignora i bambini che tremano raggomitolati nell’angolo al primo pianerottolo. Scavalca la pozza di vomito e non appoggiarti alla ringhiera. Le tue chiavi aprono la metà delle porte in questo condominio; l’altra metà non ha la serratura. Apri quella con il numero 77. Non disturbarti a leggere l’oscenità scarabocchiata sotto il numero civico – non è nemmeno in inglese, e tu non sei mai stato una cima alle lezioni di spagnolo al liceo. Non ti ricordi nemmeno abbastanza dello spagnolo per dire se effettivamente il graffito sia in spagnolo. Ci abitano un sacco di Haitiani da queste parti; magari è francese.
Apri la porta ed entra. Respira solo con la bocca. Quel tizio deve essere morto da giorni, e queste stanze diventano piuttosto soffocanti in estate. Apri la finestra. Anzi, no, lascia perdere – probabilmente la finestra è bloccata, e non hai tutto questo tempo. Non sei certo venuto a fare le pulizie. Trattieni il respiro e cerca di non guardare cosa è successo alla pelle del tizio. Non cercare di immaginare quale fosse il suo aspetto prima che cominciasse a marcire. Non fa comunque nessuna differenza che tu lo abbia visto o no quando era vivo. Devi solo frugargli nelle tasche. Infilagli la mano in tasca, ficcacela dentro, fino in fondo, anche se l’interno della tasca è così sottile, anche se la pelle sotto la tasca è molle e tesa, come i rimasugli stantii della pappa d’avena in frigo, tremolante, compatta ma pronta a sfaldarsi se la spingessi troppo forte.
Tira fuori tutto dalle tasche, da tutte le tasche. Potrai lavarti dopo. Potrai farti tutte le docce che vuoi. Potrai strofinarti le mani fino a farle sanguinare finché non ti sentirai abbastanza pulito da riuscire a dormire stanotte.
Preso tutto? E allora esci subito di qui.
Questo esempio è stato liberamente tradotto dal manuale di Orson Scott Card Characters and Viewpoints. È senz'altro un punto di vista interessante. Durante il laboratorio uno dei partecipanti ha giustamente commentato: "Sembra che sia la voce del protagonista che dentro di sé scandisce l'ordine delle cose da fare." Verissimo. Possiamo vederla anche in un altro modo: se fosse un film, probabilmente questa sarebbe la voce fuori campo di un altro personaggio che sta spiegando al protagonista cosa deve fare; mentre la voce fuori campo racconta, scorrono le immagini del protagonista che esegue materialmente tutte queste cose. L'effetto finale è comunque molto martellante: i periodi sono necessariamente brevi, la punteggiatura è forte, il ritmo è serrato. È un gioco che possiamo portare avanti per tutto un romanzo o un racconto, o si tratta di un "effetto speciale" a breve respiro?
Proviamo a pasticciare con i tempi, adesso. Vi propongo un altro esempio, sempre liberamente tradotto dal manuale di Card:
Incontrerai uno sconosciuto alto e affascinante.
Oh? Lo trovi un patetico cliché? È troppo vago per te? Troppo anonimo? Allora vediamo se ti piace la versione dettagliata.
Incontrerai uno sconosciuto alto e affascinante, ma tu non lo degnerai di uno sguardo. Lui continuerà a seguirti. Tu ti chiederai se abbia in mente qualcosa di brutto, di aggredirti, magari, di violentarti e farti del male. Lui non ti darà nessun indizio a riguardo. Non che te lo direbbe comunque, ovviamente. Se vuoi che si allontani, dovrai dargli il piccolo borsello rosso. Ancora non hai quel borsello – ti verrà dato da qualcuno che pensavi fosse morto. O forse ti verrà dato da qualcuno che è morto sul serio. Se gli darai il borsello, lui se ne andrà. O almeno penso che se ne andrà. La visione non è chiara.
Le possibilità, come vedete, sono infinite. Il punto è che non si usa un punto di vista insolito "tanto per far colore". Le scelte di carattere stilistico che facciamo comportano necessariamente dei pro e dei contro, che devono essere attentamente valutati. Non è detto che una scelta ragionata, però, sia comunque una buona idea.



Nessun commento:

Posta un commento