lunedì 28 novembre 2011

Virgole imbarazzanti


La punteggiatura crea imbarazzo a chiunque si cimenti nell'arte dello scrivere, che si tratti di narrativa o di saggistica. Il punto è che non esistono manuali dedicati alla punteggiatura e, fatte salve quelle due o tre regolette d'oro che ci vengono insegnate alle scuole elementari (la virgola non separa mai il soggetto/l'oggetto dal verbo di riferimento e il punto conclude la frase), sono ben poche le certezze che il povero scrivente/scrittore ha riguardo alla punteggiatura.

Più che di regole grammaticali, quindi, qui si parla di scelte stilistiche. La punteggiatura incide sul ritmo di lettura e sulla sfumatura del tono della frase; curioso che in una lingua come la nostra, dove la lingua scritta e la lingua parlata sono sempre state molto distanti, la dimensione della letteratura conservi ancora una certa dose di 'oralità'. Ci servono le 'pause', ci serve il 'ritmo', ci serve il 'tono', come se leggessimo ad alta voce. 

Così la virgola (pausa breve) e il punto (pausa forte) possono fare la differenza tra un ritmo fluido e un ritmo martellante 
Giulia scostò la sedia dal tavolo, si sedette, si accese una sigaretta e aspirò una boccata di fumo.
Giulia scostò la sedia dal tavolo. Si sedette. Si accese una sigaretta e aspirò una boccata di fumo.
i puntini di sospensione possono 'sospendere' il tempo (pausa fortissima)
Non so proprio cosa dire... Mi hai lasciata senza parole.
i punti esclamativi e i punti interrogativi possono cambiare il tono di una frase
Giulia lavora lì!
Giulia lavora lì?
Giulia lavora lì.

I dialoghi sono senz'altro una delle sfide più difficili, quando si parla di punteggiatura. Durante i dialoghi, i personaggi parlano per loro stessi; nel dialogo troviamo l'impronta scritta del parlato. Le sfumature di ritmo e di tono si giocano in gran parte sulla punteggiatura. Anche l'assenza di punteggiatura è una scelta stilistica.

Voi cosa ne pensate? La punteggiatura vi mette in imbarazzo? Vi piacerebbe un manuale di punteggiatura su cui fare affidamento?

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Qui trovate un articoletto sulla punteggiatura nei dialoghi.



venerdì 18 novembre 2011

Esercizio 4 - Così come sei


Vi presento Anita e Giulia.

Anita è una giovane donna, romantica e un po' ingenua. Il suo sogno è quello di incontrare il Principe Azzurro, l'Uomo Perfetto, e di innamorarsi perdutamente di lui. Adora i gesti plateali e un po' drammatici.

Giulia è una donna di mezz'età. Dopo diverse delusioni amorose, si ritiene una persona disillusa e con i piedi per terra. Preferisce i fatti alle parole. È molto diffidente nei confronti degli uomini.

Vi ho raccontato due donne. Mostratemele!

lunedì 31 ottobre 2011

Dialoghi: relistici o brillanti?


Dialogo in auto tra Jules e Vincent, in Pulp Fiction.

Primi dieci minuti di Harry ti presento Sally, con diversi dialoghi tra Harry e Sally.


E infine due brevi dialoghi (uno e due) tratti da una serie televisiva statunitense, Gilmore Girls.

Bisogna bilanciare la brillantezza alla verosimiglianza. Da una parte, dobbiamo coinvolgere il lettore e interessarlo a quello che i personaggi dicono; dall'altra, personaggi che non fanno altro che vomitare battute brillanti a raffica - come nello spezzone di Gilmore Girls - non sono verosimili. 

Voi che cosa ne pensate?

Mark Twain's Rules of Writing

È necessario

1. A tale shall accomplish something and arrive somewhere.
1. Che un racconto segua un disegno e che approdi da qualche parte.

2. The episodes of a tale shall be necessary parts of the tale, and shall help develop it.
2. Che gli episodi narrati nel racconto siano parte del racconto stesso e aiutino a svilupparlo.

3. The personages in a tale shall be alive, except in the case of corpses, and that always the reader shall be able to tell the corpses from the others.
3. Che i personaggi del racconto siano vivi, eccezion fatta per i cadavari, e che il lettore riesca sempre a distinguere i cadaveri dagli altri.

4. The personages in a tale, both dead and alive, shall exhibit a sufficient excuse for being there.
4. Che i personaggi del racconto, quelli vivi e quelli morti, abbiano un'ottima scusa per trovarsi dove si trovano.

5. When the personages of a tale deal in conversation, the talk shall sound like human talk, and be talk such as human beings would be likely to talk in the given circumstances, and have a discoverable meaning, also a discoverable purpose, and a show of relevancy, and remain in the neighborhood of the subject in hand, and be interesting to the reader, and help out the tale, and stop when the people cannot think of anything more to say.
5. Che, quando i personaggi del racconto affronta una conversazione, il dialogo sembri effettivamente un dialogo tra esseri umani: devono emergere comportamenti plausibili per le circostanze, un significato e un fine individuabili, e una certa attinenza con l'argomento affrontato in quella sede. Inoltre, il dialogo deve risultare interessante per il lettore e servire allo sviluppo della storia e interrompersi quando ai protagonisti non viene più in mente nulla da dire.

6. When the author describes the character of a personage in his tale, the conduct and conversation of that personage shall justify said description.
6. Che, quando un autore descrive il carattere di un personaggio del racconto, la condotta e il modo di esprimersi del suddetto personaggio siano coerenti con tale descrizione.

7. When a personage talks like an illustrated, gilt-edged, tree-calf, hand-tooled, seven-dollar Friendship's Offering in the beginning of a paragraph, he shall not talk like a Negro minstrel at the end of it.
7. Che quando, all'inizio del paragrafo, un personaggio parla come se si trovasse in un'elegante fiaba illustrata - con tanto di segnalibro dorato e rilegata in vitello, realizzata a mano, venduta al prezzo di sette dollari - non può poi concludere lo steso paragrafo parlando come l'improbabile imitazione di un servitore negro.

8. Crass stupidities shall not be played upon the reader by either the author or the people in the tale.
8. Il lettore non dovrà subire scemenze grossolane né da parte dell'autore né da parte dei personaggi del racconto.

9. The personages of a tale shall confine themselves to possibilities and let miracles alone; or, if they venture a miracle, the author must so plausably set it forth as to make it look possible and reasonable.
9. Che i personaggi di una storia si limitino a fare cose materialmente possibili lasciando perdere i miracoli; oppure, se si avventurano nel campo dei miracoli, l'autore faccia in modo di renderli convincenti agli occhi del lettore.

10. The author shall make the reader feel a deep interest in the personages of his tale and their fate; and that he shall make the reader love the good people in the tale and hate the bad ones.
10. Che l'autore susciti sul lettore un profondo interesse per i persoanggi e per il loro destino; e che spinga il lettore ad amare i buoni e odiare i cattivi della storia.

11. The characters in tale be so clearly defined that the reader can tell beforehand what each will do in a given emergency.
11, Che le personalità della storia siano definite in modo così chiaro che il lettore possa prevedere il comportamento di ciascuno di loro in ogni circostanza

An author should

Un autore inoltre dovrebbe

12. _Say_ what he is proposing to say, not merely come near it.
12. _Dire_ sempre chiaramente cosa intende, non una cosa che ci si avvicina e basta.

13. Use the right word, not its second cousin.
13. Usare il termine specifico, non il suo cugino di secondo grado.

14. Eschew surplusage.
14. Evitare le cose superflue.

15. Not omit necessary details.
15. Non omettere le cose necessarie.

16. Avoid slovenliness of form.
16. Evitare sciatterie formali.

17. Use good grammar.
17. Fare uso di una grammatica corretta.

18. Employ a simple, straightforward style.
18. Impiegare uno stile semplice e diretto.



Amen.

venerdì 28 ottobre 2011

Un giorno ideale per i pescibanana

 Un giorno ideale per i pescibanana

di J.D. Salinger 

Nell’albergo c’erano novantasette agenti pubblicitari di New York e tenevano le linee interurbane talmente monopolizzate che la ragazza del 507 dovette attendere la sua chiamata fin quasi alle due e mezzo. Ma non rimase con le mani in mano. Lesse in una rivista femminile un articolo intitolato Il sesso: paradiso…o inferno. Lavò il pettine e la spazzola. Tolse la macchia dalla gonna del tailleur nocciola. Spostò il bottone sulla camicetta di Saks. Strappò due peli da poco spuntati alla superficie del neo. Quando finalmente la centralinista fece il numero della sua stanza, se ne stava seduta nel vano della finestra e aveva quasi finito di laccarsi le unghie della mano sinistra.
Era il tipo di ragazza che non pianta le cose a metà - qualsiasi cosa -per un campanello. Non cambiò espressione, come se quel telefono fosse abituata a sentirlo suonare ininterrottamente fin dalla pubertà.
Mentre gli squilli continuavano, passò il pennellino sull’unghia del mignolo, accentuando la curva della lunetta. Poi rimise il tappo al flacone di lacca e, alzandosi, agitò avanti e indietro la mano bagnata, la sinistra. Con quella asciutta raccolse dal sedile nel vano della finestra un portacenere congestionato e se lo portò fino al tavolino da notte, su cui era posato l’apparecchio. Sedette su uno dei due letti gemelli, fatti entrambi, e a questo punto - era il quinto o sesto squillo - alzò il ricevitore.
- Pronto, - disse, tenendo le dita della sinistra ben distese e lontane dalla vestaglia di seta bianca, l’unico indumento che avesse indosso oltre alle pantofole; gli anelli erano in bagno.
- Ci siamo, signora Glass, ho New York in linea, - disse la centralinista.
- Grazie, - disse la ragazza, e fece posto al portacenere sul tavolino da notte.
Dall’apparecchio venne una voce di donna. - Muriel? Sei tu?
La ragazza scostò un poco il ricevitore dall’orecchio. - Sì, mamma. Come stai? - disse.
- Ero in pena da morire. Perché non hai telefonato? Come stai? Stai bene?
- Ho cercato di chiamarti ieri sera e l’altro ieri. Ma qui il telefono…
- Davvero stai bene, Muriel?
La ragazza allargò ancora l’angolo tra il ricevitore e l’orecchio. - Sto benissimo. Fa un gran caldo. Oggi è la giornata più calda che ci sia stata in Florida dal…
- Perché non hai telefonato? Ero in pena da…
- Mamma, senti, c’è bisogno di urlare così? Ti sento benissimo, - disse la ragazza. - Ti ho chiamato due volte, ieri sera. Una volta erano appena passate le…
- L’avevo detto a tuo padre che probabilmente avresti chiamato, ieri sera. Ma lui niente, ha voluto a tutti i costi… Ma stai bene, Muriel? Dimmi la verità.
- Sto benissimo. Fammi il piacere, smettila di farmi sempre la stessa domanda.
- Quando siete arrivati?
- Non so. Mercoledì mattina, presto.
- Chi ha guidato?
- Lui, - disse la ragazza. - E non agitarti. Ha guidato come un angelo. Non avrei mai creduto.
- Ha guidato lui? Muriel, mi avevi dato la tua parola d’ono…
- Mamma, - interruppe la ragazza, - se ti dico che ha guidato come un angelo. Sotto gli ottanta dal principio alla fine, se vuoi saperlo.
- Non ha più fatto quei suoi scherzetti con gli alberi?
- Ti dico che ha guidato come un santo, mamma. Va bene? Gli ho detto di tenersi sempre vicino alla striscia bianca eccetera eccetera, e lui ha capito subito cosa volevo dire, e mi ha preso alla lettera. Cercava addirittura di non guardarli, gli alberi: me ne sono accorta benissimo. A proposito, papà se l’è poi fatta rimettere a posto, la macchina?
- Non ancora. Chiedono quattrocento dollari solo per…
- Mamma, Seymour ha già detto a papà che pagherà lui i danni. Non c’è motivo di…
- Va bene, vedremo. Come si è comportato… in macchina e…  insomma.
- Benissimo, - disse la ragazza.
- T’ha ancora chiamata con quell’orribile…
- No. Adesso ne ha trovato un altro.
- E cioè?
- Oh, senti mamma, che te ne importa?
- Va bene, va bene. Mi chiama Miss Puttana Spirituale del 1948, - disse la ragazza, e ridacchiò.
- Non ridere, Muriel. Non c’è proprio niente da ridere. È una cosa spaventosa. Anzi, è un a cosa triste. Quando penso che…
- Mamma, - interruppe la ragazza, - senti una cosa. Ti ricordi di quel libro che mi aveva mandato dalla Germania? Sai, no…  quelle poesie in tedesco. Dove diavolo l’ho messo? Mi sono rotta la…
- Ce l’hai sempre.
- Ma sei sicura? - disse la ragazza.
- Sicurissima. Anzi, l’ho io. È nella stanza di Freddy. L’hai lasciato qui e io non avevo più posto nella…Perché? Lo rivuole?
- No. Solo che me ne ha parlato, mentre venivamo qui. Voleva sapere se l’avevo letto.
- Ma è in tedesco!
- Lo so, mamma. Questo non cambia niente, - disse la ragazza, accavallando le gambe. - Si dà il caso che quelle poesie siano state scritte dall’unico grande poeta di questo secolo; così ha detto. Ha detto che avrei dovuto comprarmi una traduzione o… insomma. O se no, dovevo imparare il tedesco, e scusa se è poco.
- Spaventoso. Spaventoso. Proprio una cosa triste, non c’è altra parola. Ieri sera tuo padre diceva…
- Un secondo, mamma, - disse la ragazza. Andò a prendere le sigarette vicino alla finestra, ne accese una, e tornò a sedersi sul letto. - Mamma?- disse, soffiando fuori il fumo.
- Stammi bene a sentire, adesso, Muriel.
- Ti sento.
- Tuo padre ha parlato col dottor Sivetski.
- Ah! - disse la ragazza.
- Gli ha raccontato tutto. Tutto. Almeno, così dice lui… sai com’è tuo padre. Gli alberi. Il fatto della finestra. Quelle cose atroci che ha detto alla nonna, quando le ha chiesto se aveva dei progetti per le vacanze eterne. Come ha conciato quelle meravigliose fotografie delle Bermude… tutto.
- E allora? - disse la ragazza.
- Allora. Per prima cosa, Sivetski ha detto che l’Esercito non avrebbe mai dovuto dimetterlo dall’ospedale: è stato un vero delitto, parola d’onore. Ha detto chiaramente a tuo padre che c’è il rischio - un rischio grandissimo, dice - che Seymour perda completamente il controllo di se stesso. Parola d’onore.
- C’è uno psichiatra qui all’albergo, - disse la ragazza.
- Chi è? Come si chiama?
- Non lo so. Rieser, un nome così. Pare che sia bravissimo.
- Mai sentito nominare.
- Be’, comunque pare che sia bravissimo.
- Muriel, non prenderla su questo tono, fammi il piacere. Stiamo molto in pensiero per te. Tuo padre voleva telegrafarti di tornare a casa, ieri sera, se vuoi s…
- Per il momento non ho nessuna intenzione di tornare a casa, mamma. E quindi non stare ad agitarti.
- Muriel, parola d’onore. Il dottor Sivetski dice che Seymour può perdere completamente il con…
- Sono appena arrivata, mamma. Sono le prime vacanze che mi prendo in non so quanti anni, e non ho nessuna intenzione di rifare le valige proprio adesso e tornarmene a casa, - disse la ragazza. - E poi comunque non potrei mettermi in viaggio. Mi sono presa una scottatura che non posso neanche muovermi.
- Ti sei presa una brutta scottatura? Ma non hai visto quel flacone di Bronze che t’ho messo nella valigia? L’ho messo subito sotto…
- L’ho visto e l’ho usato. Mi sono scottata lo stesso.
- È terribile. Dove sei scottata?
- Dappertutto, mamma, dappertutto.
- È terribile.
- Non morirò.
- Senti, hai parlato con lo psichiatra?
- Be’, per modo di dire, - disse la ragazza.
- Che cosa ha detto? Dov’era Seymour mentre tu gli parlavi?
- Nella sala belvedere, a suonare il piano. Ha suonato tute e due le sere, da quando siamo qui.
- E allora? Cosa ti ha detto?
- Oh, niente di speciale. È stato lui ad attaccare discorso. Ero seduta vicino a lui, ieri sera, mentre si giocava a tombola, e lui m’ha chiesto se era mio marito quello che suonava il piano nell’altra stanza. Ho detto di sì, che era lui, e lui m’ha chiesto se Seymour era stato malato o cos’aveva. Allora io gli ho detto…
- Come mai te l’ha chiesto?
- Non lo so, mamma. Probabilmente perché è così pallido e tutto, - disse la ragazza. - Comunque, dopo la tombola lui e sua moglie mi hanno invitata a prendere qualcosa con loro, e io ho accettato. Sua moglie è orrenda. Ti ricordi quell’atroce abito da sera che abbiamo visto nella vetrina di Bonwit? Quello che tu hai detto che per poterlo portare bisognava avere un microscopico…
- Quello verde?
- Ce l’aveva addosso. E avessi visto i fianchi. Continuava a chiedermi se Seymour è parente di Suzanne Glass, sai, quella che ha il negozio a Madison Avenue… la modista.
- Ho capito, ma cosa ti ha detto? Il dottore.
- Oh, niente di speciale, cosa vuoi. Eravamo nel bar, capisci? C’era un chiasso tremendo.
- Sì, ma tu… ma gli hai detto cos’ha cercato di fare con la sedia della nonna?
- No, mamma. Non ho potuto entrare molto nei particolari, - disse la ragazza. - Probabilmente troverò un altro momento per parlargli. Sta seduto al bar dalla mattina alla sera.
- Non ha mica detto che secondo lui c’è il pericolo che possa… insomma… che si metta a fare delle stranezze? Che possa farti del male?
- Non proprio, - disse la ragazza. - Deve avere più dati, mamma. Devono sapere di quand’era bambino… tutte quelle cose lì. Te l’ho detto, quasi non potevamo sentirci, c’era un chiasso dell’altro mondo.
- Bene. Come va il tuo giaccone blu?
- Va ancora. Ho fatto togliere un po’ di imbottitura.
- Come sono i vestiti quest’anno?
- Terribili. Ma molto divertenti. Perfino lustrini… insomma tutto, - disse la ragazza.
- Com’è la stanza?
- Può andare. Ma appena appena. Non siamo riusciti ad avere la stanza che avevamo prima della guerra, - disse la ragazza. - La gente che c’è qui quest’anno è spaventosa. Dovresti vedere che razza di tipi abbiamo vicino a noi in sala da pranzo. Il tavolo accanto al nostro. Da dirsi, ma come ci sono arrivati qui, in camion?
- Cosa vuoi, è così dappertutto. E la gonna a fiori, poi?
- È troppo lunga. Te l’avevo detto che era troppo lunga.
- Muriel, te lo chiedo per l’ultima volta: stai bene?
- Mamma, - disse la ragazza, - per la novantaseiesima volta: sì.
- E non vuoi tornare a casa?
- Mamma, no.
- Tuo padre ha detto ieri sera che sarebbe felicissimo di aiutarti finanziariamente, se vuoi andartene in qualche posto per conto tuo a pensarci sopra. Potresti farti una bella crociera. Secondo noi…
- No, grazie, - disse la ragazza, e disincrociò le gambe. - Mamma, questa telefonata mi sta costando un pa…
- Quando penso che sei rimasta ad aspettare quel ragazzo per tutta la guerra… insomma, no quando penso a quelle mogli che ne facevano di tutti i colori…
- Mamma, - disse la ragazza, - è meglio che smettiamo. Seymour può entrare da un momento all’altro.
- Dov’è?
- Sulla spiaggia.
- Sulla spiaggia? Da solo? E come si comporta sulla spiaggia?
- Mamma, - disse la ragazza, - parli di lui come se fosse pazzo furioso…
- Non ho mai detto questo, Muriel.
- Be’, ma lo pensi. Poveretto, se ne sta lì sdraiato, buono buono. Non si toglie nemmeno l’accappatoio.
- Non si toglie l’accappatoio? E perché?
- E chi lo sa? Sarà perché è così bianco.
- Ma santo cielo, se c’è uno che ha bisogno di sole. Cerca di farglielo capire, no?
- Sai com’è Seymour, - disse la ragazza, e tornò ad accavallare le gambe.- Dice che non vuole che tutti quegli imbecilli vengano a vedere il suo tatuaggio.
- Ma non è mica tatuato! S’è fatto tatuare sotto le armi?
- No, mamma. No, sta’ tranquilla, - disse la ragazza e si alzò. - Senti, ti chiamo io domani, magari.
- Muriel. Stammi bene a sentire.
- Sì, mamma, - disse la ragazza, spostando il peso del corpo sulla gamba destra.
- Se si mette a fare o a dire qualcosa di strano devi chiamarmi immediatamente. Sai cosa voglio dire. Hai capito?
- Io non ho paura di Seymour, mamma.
- Muriel, devi promettermelo.
- Va bene, te lo prometto. Ciao, mamma, - disse la ragazza. - Saluta papà -. E abbassò il ricevitore.

- L’acchiappatoio – disse Sybil Carpenter, che abitava nell’albergo con sua madre. – Dov’è l’acchiappatoio?
- Se lo dici ancora una volta, topino, la mamma impazzisce. Diventa matta. Sta’ ferma, su.
La signora Carpenter stava mettendo dell’olio solare sulle spalle di Sybil, spalmandolo sulle scapole delicate come ali. Sybil era seduta precariamente su un grosso pallone da spiaggia, volta verso l’oceano. Indossava un costume da bagno giallo canarino, a due pezzi, e di uno dei due pezzi non avrebbe, in realtà, avuto bisogno per altri nove o dieci anni.
- Era un comunissimo fazzoletto di seta… da vicino si vedeva benissimo, - disse la donna nella sdraio accanto a quella della signora Carpenter. - Vorrei proprio sapere come se l’era legato. Le dico: un amore.
- Ci credo, - consentì la signora Carpenter. - Sybil, vuoi star ferma, per favore ?
- Che cosa acchiappi se non te lo togli? - disse Sybil.
La signora Carpenter sospirò. - Ecco, - disse. Riavvitò il tappo sul flacone. - Adesso corri a giocare, topino. La mamma va un momento in albergo a prendere un martini con la signora Hubbel. Ti porto l’oliva, eh?
Lasciata libera, Sybil corse fini alla parte piatta e dura della spiaggia, poi cominciò a camminare verso il Chiosco del Pescatore. Fermandosi solo una volta a ficcare il piede dentro un castello di sabbia ormai ridotto in poltiglia, si trovò ben presto fuori dal tratto riservato agli ospiti dell’albergo.
Continuò a camminare per quattro o cinquecento metri e all’improvviso partì di corsa, tagliando obliquamente attraverso la striscia più interna della spiaggia, dove la sabbia era soffice. Si fermò di colpo quando raggiunse il punto in cui un giovanotto se ne stava sdraiato sul dorso.
- Che cosa acchiappi se non te lo togli? - disse.
Il giovanotto sussultò, chiudendosi con la destra i risvolti dell’accappatoio di spugna. Si rivoltò sullo stomaco, lasciando cadere un asciugamano arrotolato che gli copriva gli occhi, e alzò lo sguardo su Sybil, ammiccando.
- Ehi! Ciao, Sybil.
- Non te lo togli?
- Stavo aspettando te, - disse il giovanotto. - Novità?
- Come? - disse Sybil.
- Che novità ci sono? Che c’è in programma?
- Il mio papà arriva domani col nareoplano, - disse Sybil, scalciando nella sabbia.
- Non in faccia, Sybil, - disse il giovanotto, chiudendo la mano intorno alla caviglia di Sybil. - Be’, era ora che arrivasse, il tuo papà. Sai che lo aspettavo con impazienza. Con viva impazienza.
- Dov’è la signora? - disse Sybil.
- La signora? - Il giovanotto si tolse un po’ di sabbia dai capelli radi. - Difficile dirlo, Sybil. Ci sono mille posti in cui potrebbe essere. Dal parrucchiere. A farsi tingere i capelli di un bel visone. O a fabbricare delle bambole per i bambini poveri, in camera sua -. Tornando a sdraiarsi, ma questa volta sul ventre, il giovanotto chiuse le due mani a pugno, le mise una sopra l’altra, e appoggiò il mento su questo sostegno. - Domandami qualche altra cosa, Sybil, - disse. – È bello quel costume che hai addosso, sai? Se c’è una cosa che mi piace, è un costume da bagno blu.
Sybil lo guardò a occhi sgranati, poi si contemplò lo stomaco sporgente. - Questo è un giallo, - disse. - Questo è un giallo.
- Ah sì? Vieni un po’ più vicina.
Sybil fece un passo avanti.
- Hai proprio ragione. Ma guarda che stupido sono.
- Non ci vai nell’acqua? - disse Sybil.
- Ci sto pensando seriamente. Sto considerando la cosa con molta serietà, Sybil, se questo può farti piacere.
Sybil tastò col piede il materassino di gomma che qualche volta il giovanotto usava per appoggiare la testa. - Gli manca aria, - disse.
- Hai ragione. Gli manca più aria di quanto io sia disposto ad ammettere -. Tolse i due pugni di sotto il mento, che lasciò ricadere sulla sabbia. - Sybil, - disse, - sei proprio in forma. È un piacere vederti. Perché non mi parli un po’ di te? - Protese le mani davanti a sé e le strinse attorno alle caviglie di Sybil. - Io sono del Capricorno, - disse. - E tu cosa sei?
- Sharon Lipschutz dice che l’hai lasciata sedere sullo sgabello del piano vicino a te, - disse Sybil.
- Sharon Lipschutz ha detto questo?
Sybil annuì vigorosamente.
Il giovanotto le lasciò andare le caviglie, ritirò le mani e appoggiò una guancia sull’avambraccio destro. - Be’, - disse, - lo sai come vanno queste cose, Sybil. Ero là seduto che stavo suonando. E tu chissà dov’eri, in quel momento. E Sharon Lipschutz è venuta lì e a un certo punto si è messa a sedere vicino a me. Non potevo mica spingerla via, ti pare?
- Sì, che potevi.
- Oh no. No. Non potevo fare una cosa simile, - disse il giovanotto. - Ma sai cosa ho fatto, invece?
- Cosa?
- Ho fatto finta che fossi tu.
Immediatamente Sybil si chinò e cominciò a scavare nella sabbia.
- Andiamo nell’acqua, - disse.
- Va bene, - disse il giovanotto. - Si può sempre provare.
- Un’altra volta spingila via, - disse Sybil.
- Chi devo spingere via?
- Sharon Lipschutz.
- Ah, Sharon Lipschutz, - disse il giovanotto. - Come torna spesso quel nome. Mischiando il ricordo al desiderio -. Si alzò in piedi di colpo. Guardò l’oceano. - Sybil, - disse, - sai cosa faremo adesso? Cercheremo di acchiappare un pescebanana.
- Un cosa?
- Un pescebanana, - disse il giovanotto, e sciolse la cintura dell’accappatoio. Si tolse l’accappatoio. Aveva le spalle bianche e strette, e le mutandine azzurre. Piegò l’accappatoio, prima nel senso della lunghezza, poi in tre parti. Srotolò l’asciugamano che s’era messo sugli occhi, lo stese sulla sabbia e vi depose sopra l’accappatoio ripiegato. Si chinò, raccolse il materassino e se lo mise sotto il braccio destro. Poi, con la sinistra, prese la mano di Sybil.
Insieme si avviarono verso il mare.
- Immagino che ne avrai visti parecchi, di pescibanana, ai tuoi bei tempi, - disse il giovanotto.
Sybil scosse il capo.
- No? Ma si può sapere dove vivi?
- Non lo so, - disse Sybil.
- Ma sì che lo sai. Devi saperlo per forza. Sharon Lipschutz sa benissimo dove abita e ha solo tre anni e mezzo.
Sybil smise di camminare e strappò la mano da quella di lui. Raccolse una comune conchiglia e la esaminò con elaborato interesse. La gettò via. - Whirly Wood, Connecticut, - disse, e riprese a camminare con lo stomaco bene in fuori.
- Whirly Wood, Connecticut, - disse il giovanotto. - Non è dalle parti di Whirly Wood, Connecticut, per caso?
Sybil lo guardò. - È lì che abito, - disse spazientita.- Abito a Whirly Wood, Connecticut -. Corse davanti a lui di qualche passo, si prese con la sinistra il piede sinistro, e saltellò due o tre volte su una gamba sola.
- Tutto è chiaro, finalmente, - disse il giovanotto.
Sybil lasciò andare il piede. - Hai letto Il piccolo Sambo? - disse.
- È strano che tu me lo chieda, - disse lui. - Vedi caso, ho finito di leggerlo proprio ieri sera -. Allungò il braccio e riprese la mano di Sybil. - Come t’è sembrato? - le chiese.
- Come correvano intorno a quell’albero, le tigri.
- Non si fermavano più. Mai viste tante tigri in vita mia.
- Ce n’erano solo sei, - disse Sybil.
- Solo sei? - disse il giovanotto. - E lo chiami solo?
- Ti piace la cera? - chiese Sybil.
- Mi piace cosa? - chiese il giovanotto.
- La cera.
- Moltissimo. E a te?
Sybil annuì. - Ti piacciono le olive? - chiese.
- Le olive… sì. Olive e cera. Non faccio un passo senza portarmene dietro una provvista.
- Ti piace Sharon Lipschutz? - chiese Sybil.
- Sì. Sì, mi piace, - disse il giovanotto. - Quel che soprattutto mi piace di lei è che non fa mai delle brutte cose ai cagnolini nell’atrio dell’albergo. Quel piccolo bulldog di quella signora canadese, per esempio. Tu probabilmente non ci crederai, ma ho visto coi miei occhi certe bambine tormentarlo con un bastoncino. Queste cose Sharon non le fa. Non è mai cattiva o dispettosa, lei. È per questo che mi piace tanto.
Sybil taceva.
- Mi piace masticare le candele, - disse finalmente.
- Lo credo bene, - disse il giovanotto, mettendo i piedi nell’acqua. - Ahi! È fredda -. Lasciò cadere il materassino. - No, aspetta un momento, Sybil. Aspetta che arriviamo un po’ più in là.
Si spinsero avanti finché l’acqua giunse alla vita di Sybil. Allora il giovanotto la sollevò e la fece sdraiare sul materassino., a pancia in giù.
- Resti con i capelli così, senza cuffia, senza niente? - le chiese il giovanotto.
- Non lasciarmi andare, - ordinò Sybil. - Tienimi forte, adesso.
- Signorina Carpenter. La prego. Conosco i miei doveri, - disse il giovanotto. - Tu devi solo tenere gli occhi bene aperti per il caso che passi qualche pescebanana. Questo è un giorno ideale per i pescibanana.
- Non ne vedo neanche uno.
- È comprensibile. Hanno delle abitudini molto singolari. Molto, ma molto singolari.
Continuò ad avanzare spingendo il materassino. L’acqua non gli arrivava al petto. – È una vita molto tragica, la loro, poveretti, - disse. - Lo sai cosa fanno, Sybil?
Sybil scosse il capo.
- Vedi, nuotano dentro una grotta dove c’è un mucchio di banane. Sembrano dei pesci qualunque, quando vanno dentro. Ma una volta che sono entrati, si comportano come dei maialini. Ti dico, so da fonte sicura di certi pescibanana che, dopo essersi infilati in una grotta bananifera, sono arrivati a mangiare la bellezza di settantotto banane -. Avvicinò di mezzo metro all’orizzonte il materassino e la sua passeggera. - Naturalmente, dopo una scorpacciata simile sono così grassi che non possono più venir fuori dalla grotta. Non passano dalla porta.
- Non troppo lontano, - disse Sybil. - E poi, cosa fanno?
- Cosa fanno chi?
- I pescibanana.
- Oh, vuoi dire dopo che hanno mangiato tante banane che non possono più uscire dalla grotta bananifera?
- Sì, - disse Sybil.
- Ecco, mi rincresce molto di dovertelo dire, Sybil. Muoiono.
- Perché? - chiese Sybil.
- Ecco, gli viene la bananite. È una malattia terribile.
- C’è un’onda che sta arrivando, - disse Sybil nervosamente.
- Faremo finta di non vederla. La snobberemo, - disse il giovanotto. - Due snob -. Prese in mano le caviglie di Sybil e spinse in basso e in avanti. Il materassino si rizzò sopra la cresta dell’onda. L’acqua inondò i capelli biondi di Sybil, ma il suo strillo era pieno di gioia.
Con la mano, quando il materassino fu di nuovo immobile, si tolse dagli occhi un lungo ciuffo bagnato e piatto, e riferì: - Ne ho visto uno.
- Cos’hai visto, amor mio?
- Un pescebanana.
- Santo cielo, no! - disse il giovanotto. - Aveva delle banane in bocca?
- Sì, - disse Sybil. - Sei.
All’improvviso il giovanotto tirò su uno dei piedi bagnati di Sybil, che sporgevano oltre l’orlo del materassino, e ne baciò il collo.
- Ehi! - disse la padrona del piede, voltandosi.
- Ehi cosa? Adesso si torna. Ti basta così?
- No!
- Mi rincresce, - disse il giovanotto, e spinse il materassino verso la spiaggia finché Sybil poté scendere. Poi lo tirò fuori dall’acqua e lo portò a riva.
- Ciao, - disse Sybil, e corse senza rimpianto in direzione dell’albergo.

Il giovanotto si infilò l’accappatoio, accostò strettamente i risvolti e si cacciò l’asciugamano in tasca. Raccolse il materassino bagnato, cui ora aderiva un velo di sabbia, e se lo mise alla meglio sotto braccio. Si avviò solo, a passi pesanti, sulla sabbia fine e rovente verso l’albergo.
Al piano seminterrato dell’albergo, dove c’era l’ingresso riservato dalla direzione ai bagnanti, una donna col naso coperto di pomata allo zinco entrò nell’ascensore insieme al giovanotto.
- Vedo che mi sta guardando i piedi, - disse il giovanotto quando la cabina si mise in moto.
- Come ha detto, scusi? - disse la donna.
- Ho detto che vedo che lei mi sta guardando i piedi.
- Scusi, ma stavo guardando in terra, disse la donna, e si volse verso la porta della cabina.
- Se le fa piacere guardarmi i piedi, si accomodi, - disse il giovanotto. - Ma perdio, abbia almeno il coraggio di farlo senza sotterfugi.
- Scendo qui, prego, - disse in fretta la donna alla ragazza che manovrava l’ascensore.
Le porte si aprirono e la donna uscì senza voltarsi indietro.
- Ho dei piedi normalissimi e perdio non capisco perché la gente me li debba guardare con gli occhi fuori dalla testa, - disse il giovanotto. - Al quinto, prego -. Tirò fuori dalla tasca dell’accappatoio la chiave della sua camera.
Scese al quinto piano, percorse il corridoio ed entrò al numero 507. La stanza odorava di valige nuove e di acetone.
Il giovanotto guardò la ragazza addormentata su uno dei letti gemelli. Poi si avvicinò a una valigia, l’aprì, e di sotto a una pila di mutande e canottiere trasse una Ortgies automatica calibro 7,65. Fece scattare fuori il caricatore, lo guardò, tornò a infilarlo nell’arma. Tolse la sicura. Poi attraversò la stanza e sedette sul letto libero; guardò la ragazza, prese la mira e si sparò un colpo nella tempia destra.


Contorno di film

In questo post abbiamo parlato di suspense e di sorpresa. Creare suspense e sorpresa dipende in gran parte dalla gestione del punto di vista: se il protagonista non sa che sotto il tavolo da poker si trova una bomba, e la sapienza dello spettatore si limita a quello che conosce il protagonista, allora avremo l'effetto sorpresa e la bomba esploderà all'improvviso facendoci saltare sulla sedia; se invece lo spettatore conosce più cose rispetto a quello che conosce il protagonista (grazie a una ripresa dal basso che inquadra la bomba sotto il tavolo, o perché per una scena siamo stati proiettati nel punto di vista di chi ha piazzato lì la bomba) allora avremo l'effetto della suspense: noi sappiamo che sta per succedere qualcosa di orribile, e per tutto il tempo rimaniamo con il fiato sospeso in attesa dell'esplosione della bomba.

 In Memento, di Christopher Nolan, il punto di vista è davvero curioso. In teoria il punto vista è limitato a quello che conosce il protagonista, Leonard Shelby; peccato che quest'ultimo soffra di memoria a breve termine: da quando sua moglie è morta, non riesce più a trattenere le informazioni. Ogni tot, si dimentica di tutto quello che ha fatto/detto/visto e resetta la memoria al punto di partenza, ossia la morte della moglie. Quindi in un certo senso noi ci troviamo nella testa di Shelby, ma in pratica in un certo senso conosciamo più cose di lui, perché al contrario di lui noi ci ricordiamo tutto quello che vediamo passare sullo schermo.
Il film a me è piaciuto molto e lo consiglio vivamente.

In Nodo alla gola (The Rope), di Alfred Hitchcock, due amici - o meglio, più che amici, dal momento che si allude a una relazione omosessuale - durante i primissimi minuti di film uccidono un loro ex-compagno di college, senza alcun motivo se non il fatto che "possono farlo" (Nota bene: nella versione italiana, la traduzione del dialogo fa sembrare che l'omicidio sia stato un semplice incidente, la fatale conseguenza di una discussione troppo accesa; in realtà, il crimine è assolutamente premeditato - come si potrà notare dal fatto che i due protagonisti hanno indossato i guanti per compiere l'omicidio). Noi spettatori arriviamo quando il crimine è appena-appena stato consumato; i due amici nascondono il cadavere nella cassapanca, sulla quale poi sistemano i drink, dal momento che di lì a qualche istante arriveranno gli ospiti del party che hanno organizzato. Tra gli invitati sono compresi il padre e la fidanzata del ragazzo ucciso. Il punto di vista di noi spettatori è privilegiato: noi sappiamo fin da subito chi sono i colpevoli e dove è nascosto il cadavere. Per tutto il film saremo lì, col fiato sospeso, a chiederci se e quando verrà scoperto l'orrido segreto.
Sarebbe stata la stessa cosa se, ad esempio, invece di giocare la suspense Hitchcock avesse giocato la sorpresa, utilizzando il punto di vista dell'arguto ex-professore invitato al party? 


Rashomon, di Akira Kurosawa, racconta lo stesso episodio dal punto di vista di più personaggi (il bandito, la moglie, il samurai, il taglialegna). Ogni tesmonianza è una voce diversa.



mercoledì 26 ottobre 2011

Contorno di libri

Durante la lezione del 25 ottobre, dedicata alla gestione del punto di vista, abbiamo consigliato qualche lettura.

Titolo Lo Schiaffo (The Slap
Autore Christos Tsiolkas
Anno di pubblicazione 2008







Titolo Il Minotauro (Minotaur)
Autore Benjamin Tammuz
Anno di pubblicazione 1980 (1a edizione originale) 1997 (1a edizione italiana)




Titolo Gli Schwartz (The Sleeping Father)
Autore Matthew Sharpe
Anno di pubblicazione 2003




Titolo Gli strani suicidi di Bartlesville (The Mind Thing)
Autore Fredric Brown
Anno di pubblicazione 1961 (1a edizione originale) 1962 (1a edizione italiana)






Titolo Peyton Place
Autore Grace Metalious
Anno di pubblicazione 1956







Titolo Fiori per Algernon (Flowers for Algernon)
Autore Daniel Keyes
Anno di pubblicazione 1959


Esercizio 3 - Pasticcio

In questo articolo abbiamo parlato in generale di quella che è la "norma" per quanto riguarda la gestione del punto di vista e abbiamo visto che è possibile, in teoria, pasticciare con qualcosa di nuovo. Dato che la pratica vale più della grammatica, questo è l'esercizio che vi propongo oggi:

cercate di ideare delle situazioni per cui sarebbe possibile utilizzare persone diverse dalla prima e dalla terza singolare e tempi e modi diversi dal presente e dal passato remoto indicativo. No, non sono impazzita. So bene di aver scritto che non bisogna usare un punto di vista estroso tanto per fare; appunto per questo vi assegno questo compito: testerete con mano l'effetto delle scelte stilistiche che farete. Finché vi dico che una cosa "è difficile" e "va pensata bene" rimangono solo parole; passiamo ai fatti! 

Non avete limitazione di genere né di lunghezza. Potete anche rivisitare gli esempi che vi ho proposto nell'articolo che vi ho linkato sopra (imperativo, futuro e seconda persona plurale). Sbizzarritevi.




Questa immagine non c'entra niente con l'esercizio
ma è deliziosa!


Punto di vista: ordine e disordine


Una delle prime cose che bisogna fare, quando si comincia la stesura di un racconto, è scegliere il punto di vista. 

La stragrande maggioranza delle storie che leggiamo - praticamente tutte, a conti fatti - è scritta o in prima o in terza persona singolare. La prima persona è quella che dà la sensazione di trovarsi 'dentro' la mente del narratore, è la storia dove il narratore ti racconta cosa ha visto e cosa ha fatto e cosa gli è successo; la terza persona, invece, è quando il narratore non è presente in qualità di personaggio, ma ti racconta cosa succede ad altre persone.

Scegliere di usare la prima o la terza persona non è una scelta di natura grammaticale e non esiste un giusto o uno sbagliato; si tratta di strategia narrativa. L'importante è essere consapevoli dell'effetto che si produce in chi legge.

Si può scrivere in persone che non siano la prima o la terza singolari? Beh, nessuno lo vieta. Qual è il problema di affrontare un esperimento del genere? Che bisogna aver ben chiaro dove si vuole andare a parare scrivendo  in seconda persona singolare o in terza persona plurale. Il lettore è abituato a leggere in prima o in terza persona singolari; un testo che tradisce queste aspettative è un testo straniante. C'è il rischio che il lettore non vada al di là della superficie e che invece di chiedersi "ma chi ha ucciso Jenny?" o "Tom e Mary finiranno insieme?" si chieda piuttosto "ma perché diavolo questo tizio scrive in prima persona plurale?". 

Ora, vale il discorso che ho fatto prima: bisogna essere consapevoli dell'effetto che si produce in chi legge. Proviamo a pensare, ad esempio, a un racconto scritto in prima persona plurale? Che tipo di racconto potrebbe essere?
La Squadra è la Legge. Tommaso questo non riesce a capirlo. Decidiamo allora di aspettarlo fuori dal locale dove lavora. Quando esce dalla porta sul retro e ci vede impallidisce. Ha chiaramente la coscienza sporca.
"Tommaso Lardelli, verrai giudicato per i tuoi Peccati," gli diciamo e lui si mette a gridare, dice che abbiamo oltrepassato il limite, che non è più divertente, e che si è tirato fuori dalle nostre stronzate. Indietreggia e noi avanziamo.
 La prima persona plurale dà un senso di comunità, di gruppo compatto. Immaginatevi una storia dal punto di vista di un gruppo neo-fascista o neo-nazista (L'Onda, di Tod Strasser), questo senso di unità schiacciante, opprimente, totale: la prima persona plurale può rendere in maniera efficace questa perdita dell'individualità per passare all'idea di collettività. Nota bene: il fatto che la scelta sia consapevole e che sia intellettualmente motivata non significa necessariamente che sia una buona idea. Bisogna valutare bene i pro e i contro: una prima persona plurale che vantaggi offre alla narrazione? Come abbiamo visto, rende bene anche sul piano del significante (e non solo su quello del significato) l'idea di collettività; non c'è più l'individuo, c'è il gruppo, che si muove compatto come un'unica entità. È senz'altro suggestivo. Qual è il prezzo da pagare? Si tratta di una tecnica che posso portare avanti per cento e passa pagine senza disturbare il lettore?


L'Onda - Die Welle, film del 2008 di Dennis Gansel
tratto dall'omonimo romanzo

Abbiamo visto quindi che, per quanto riguarda le persone, la norma è scegliere tra una prima e una terza persona singolare. E per quanto riguarda i tempi e modi verbali per le proposizioni principali? Anche in questo caso c'è una norma: di solito la scelta è limitata al presente o al passato remoto dell'indicativo.

Si possono scegliere modi e tempi differenti? Vale lo stesso discorso che abbiamo fatto per le persone: nessuno te lo vieta. Usare tempi e modi verbali "insoliti", però, comporta delle conseguenze, conseguenze di cui bisogna essere consapevoli. Giochiamo con gli effetti speciali. Proviamo a scrivere un brano all'imperativo e vediamo che succede.

Sali le scale. Ignora i bambini che tremano raggomitolati nell’angolo al primo pianerottolo. Scavalca la pozza di vomito e non appoggiarti alla ringhiera. Le tue chiavi aprono la metà delle porte in questo condominio; l’altra metà non ha la serratura. Apri quella con il numero 77. Non disturbarti a leggere l’oscenità scarabocchiata sotto il numero civico – non è nemmeno in inglese, e tu non sei mai stato una cima alle lezioni di spagnolo al liceo. Non ti ricordi nemmeno abbastanza dello spagnolo per dire se effettivamente il graffito sia in spagnolo. Ci abitano un sacco di Haitiani da queste parti; magari è francese.
Apri la porta ed entra. Respira solo con la bocca. Quel tizio deve essere morto da giorni, e queste stanze diventano piuttosto soffocanti in estate. Apri la finestra. Anzi, no, lascia perdere – probabilmente la finestra è bloccata, e non hai tutto questo tempo. Non sei certo venuto a fare le pulizie. Trattieni il respiro e cerca di non guardare cosa è successo alla pelle del tizio. Non cercare di immaginare quale fosse il suo aspetto prima che cominciasse a marcire. Non fa comunque nessuna differenza che tu lo abbia visto o no quando era vivo. Devi solo frugargli nelle tasche. Infilagli la mano in tasca, ficcacela dentro, fino in fondo, anche se l’interno della tasca è così sottile, anche se la pelle sotto la tasca è molle e tesa, come i rimasugli stantii della pappa d’avena in frigo, tremolante, compatta ma pronta a sfaldarsi se la spingessi troppo forte.
Tira fuori tutto dalle tasche, da tutte le tasche. Potrai lavarti dopo. Potrai farti tutte le docce che vuoi. Potrai strofinarti le mani fino a farle sanguinare finché non ti sentirai abbastanza pulito da riuscire a dormire stanotte.
Preso tutto? E allora esci subito di qui.
Questo esempio è stato liberamente tradotto dal manuale di Orson Scott Card Characters and Viewpoints. È senz'altro un punto di vista interessante. Durante il laboratorio uno dei partecipanti ha giustamente commentato: "Sembra che sia la voce del protagonista che dentro di sé scandisce l'ordine delle cose da fare." Verissimo. Possiamo vederla anche in un altro modo: se fosse un film, probabilmente questa sarebbe la voce fuori campo di un altro personaggio che sta spiegando al protagonista cosa deve fare; mentre la voce fuori campo racconta, scorrono le immagini del protagonista che esegue materialmente tutte queste cose. L'effetto finale è comunque molto martellante: i periodi sono necessariamente brevi, la punteggiatura è forte, il ritmo è serrato. È un gioco che possiamo portare avanti per tutto un romanzo o un racconto, o si tratta di un "effetto speciale" a breve respiro?
Proviamo a pasticciare con i tempi, adesso. Vi propongo un altro esempio, sempre liberamente tradotto dal manuale di Card:
Incontrerai uno sconosciuto alto e affascinante.
Oh? Lo trovi un patetico cliché? È troppo vago per te? Troppo anonimo? Allora vediamo se ti piace la versione dettagliata.
Incontrerai uno sconosciuto alto e affascinante, ma tu non lo degnerai di uno sguardo. Lui continuerà a seguirti. Tu ti chiederai se abbia in mente qualcosa di brutto, di aggredirti, magari, di violentarti e farti del male. Lui non ti darà nessun indizio a riguardo. Non che te lo direbbe comunque, ovviamente. Se vuoi che si allontani, dovrai dargli il piccolo borsello rosso. Ancora non hai quel borsello – ti verrà dato da qualcuno che pensavi fosse morto. O forse ti verrà dato da qualcuno che è morto sul serio. Se gli darai il borsello, lui se ne andrà. O almeno penso che se ne andrà. La visione non è chiara.
Le possibilità, come vedete, sono infinite. Il punto è che non si usa un punto di vista insolito "tanto per far colore". Le scelte di carattere stilistico che facciamo comportano necessariamente dei pro e dei contro, che devono essere attentamente valutati. Non è detto che una scelta ragionata, però, sia comunque una buona idea.



venerdì 21 ottobre 2011

Suspense e Sorpresa



Four men is sitting at a table playing poker. The scene is rather boring. Suddenly, after 15 minutes, we hear a big bang - it turnes out there was a bomb under the table. This is called surprise as it isn't what we expected would happen.
If we watch the same scene again with the important difference that we have seen the bomb being placed under the table and the timer set to 11 AM, and we can see a watch in the background, the same scene becomes very intense and almost unbearable - we are sitting there hoping the timer will fail, the game is interrupted or the hero leaves the table in time, before the blast. This is called suspense.

Quattro uomini se ne stanno seduti a un tavolo a giocare a poker. La scena è piuttosto noiosa. Improvvisamente, dopo 15 minuti, udiamo una forte esplosione - e viene fuori che c'era una bomba piazzata sotto il tavolo. Questa si chiama sorpresa dal momento che non è esattamente quello ci aspetteremmo succeda.
Se guardiamo di nuovo la stessa scena con la fonadmentale differenza che noi spettatori abbiamo visto la bomba che veniva piazzata sotto il tavolo e il timer che veniva impostato per le 11 AM, e che noi riusciamo a vedere il tavolo ripreso da sotto, la stessa scena diventa improvvisamente molto intensa al limite dell'intollerabile - ce ne stiamo seduti al cinema sperando che il timer si spenga, che il gioco si interrompa o che il protagonista lasci il tavolo in tempo, prima dell'esplosione. Questa è la suspense.

Parola di Alfred Hitchcock.

Esercizio 2 - Vedi anche tu quello che vedo io?

Un bell'esercizio sulla gestione del punto di vista tutto per voi.


Probabilmente tutti voi conoscete Nighthawks, il meraviglioso quadro di Edward Hopper del 1942. L'esercizio che vi  propongo oggi non è molto diverso da quello della settimana scorsa, dedicato alle descrizioni: questa immagine deve ispirarvi una breve scena descrittiva. Dovete scegliere però un punto di vista dal quale riprenderla. Avete a disposizione quattro personaggi (tre avventori e il barista), ma potete fingere anche che ci sia qualcuno, fuori dal Diner, che osserva la scena dalla vetrina - dopotutto noialtri osservatori cosa siamo, se non passanti che sbirciano nel bar? - o qualsiasi altra angolazione vi venga in mente.

Martedì 25 ottobre, dalle ore 15 alle ore 17, alla sede dello Spazio Giovani di Pavia (Via Paratici 23/25) si terrà un nuovo incontro di laboratorio, dedicato appunto alla gestione dei punti di vista. Se siete interessati, non perdetelo! Vi ricordo che la partecipazione è libera e gratuita!

mercoledì 19 ottobre 2011

Esercizio 1 - ’Tis some visitor entreating entrance at my chamber door

Vi propongo un esercizio sulle descrizioni.
Questo esercizio mi è stato ispirato dalla lettura del romanzo Folle viaggio nella notte dello scrittore tedesco Walter Moers. L'autore si è ispirato a delle xilografie di Paul Gustave Doré e attorno a esse ha creato una storia fantasy originale.

Osservate questa immagine:

È senza dubbio molto suggestiva. Provate a creare una scena descrittiva su di essa. Non sforzatevi di spremerne fuori un racconto compiuto, concentratevi sulla singola scena! Avete carta bianca sul genere, sulla lunghezza, sulla gestione del punto di vista. Se sapete da che testo è stata tratta questa illustrazione di Doré (se non lo sapete, ve lo dico io: Il corvo e altre poesie, di Edgar Allan Poe) potete ispirarvi a esso per dare un contesto alla vostra descrizioni.

Buon lavoro!

Antipasto di parole goffe e alla rinfusa


Benvenuti a tutti! Benvenuto a chi arriva qui dopo aver seguito il (o sentito parlare del) laboratorio di scrittura creativa Scritto Misto a Pavia, benvenuto a chi arriva qui perché interessato alle tecniche di scrittura e di narrazione e benvenuto a chi arriva qui perché si è perso e cercava tutt'altro (già che ci sei, fermati e da' un'occhiata in giro).

Cominciamo con il laboratorio, visto che effettivamente comincia davvero tutto da lì. Scritto Misto è un laboratorio che nasce dall'idea che si possa imparare a scrivere e che il talento possa essere educato. Questo bel sintagma è preso in prestito da Giulio Mozzi, nello specifico da (non) Un corso di scrittura e narrazione, edito da Terre di Mezzo (2009); da questo stesso titolo riprendo anche una similitudine che mi è piaciuta: il talento sta alla scrittura come la bontà d'animo sta alla cortesia. La cortesia è una tecnica, e come tale può essere insegnata; la bontà d'animo, invece, riguarda l'indole personale di ciascuno. Non si può insegnare ad avere talento, ma il talento può essere "educato" e si può insegnare la parte tecnica dello scrivere.

Lo scopo del laboratorio è quindi fornire ai partecipanti degli strumenti concreti e offrire loro la possibilità di metterli in pratica e di confrontarsi. Ovviamente l'educazione del talento non comincia con me e non comincia con questo laboratorio. Alla base di un buono scrittore c'è innanzi tutto un buon lettore, un lettore critico (incredibile ma vero, in Italia ci sono più scrittori che lettori!); un lettore critico non si limita a subire passivamente la lettura, non si limita a soddisfare la libido, il desiderio di emozione, ma si pone delle domande: perché questa cosa mi emoziona?, perché questa mi annoia?, com'è possibile che in questo caso mi sia sorpreso e in questo caso invece no? Oltre alla lettura critica, ovviamente, c'è lo studio delle tecniche narrative. La passione e il talento sono senz'altro fondamentali, ma sono come un diamante allo stato grezzo prima di venire raffinati dall'impegno e dallo studio. Sempre citando Giulio Mozzi, se io sono pieno di sentimenti da esprimere, ma sono anche analfabeta, non c'è molto da fare: dovrò trovare altri modi per esprimere tutti questi bei sentimenti, cantando, ballando, facendo le capriole, ma non scrivendo. Se voglio scrivere, devo studiare, e non solo la grammatica. Oltre alla lettura e allo studio, c'è l'esercizio. Senza esercizio, lo studio serve a ben poco: è come pretendere di diventare calciatori guardando i programmi di sport su Sky e senza toccare mai un pallone con i piedi, o di diventare un grande chef studiando libri di cucina e guardando la rubrica di Benedetta Parodi senza mai mettere piede in cucina.

Quindi, ricapitolando: leggere molto, studiare molto, esercitarsi molto (comincia a diventare una cantilena alla Fiera dell'Est, non pare anche a voi?) oltre a tutte queste cose, dicevo, occorre un ultimo tassello - almeno secondo me: il confronto. A meno che non si scriva un diario privato, o non si intrattenga un intimo carteggio con un'Unica Persona Speciale, non si scrive mai per Nessuno, si scrive sempre per Qualcuno. E questo Qualcuno è molto più importante di noi che scriviamo. Per questo il confronto è fondamentale: bisogna scrivere e farsi leggere, leggere e capire, capire e discutere. Non è necessario essere d'accordo, ovviamente. Non tutto ciò che deriva da un confronto è oro colato, ma anche essere in disaccordo può aiutare a "educare" il nostro talento. È in questo modo che riusciamo a decidere, a ragion veduta, qual è per noi il sentiero migliore da seguire.

Il laboratorio nasce da questa idea, e fin qui ci siamo. Il blog a che serve? Essenzialmente, a riordinare le idee. Di volta in volta, pubblicherò un breve riassunto di ciò che si è fatto durante l'incontro di laboratorio. Cercherò di aggiornare il più spesso possibile con esercizi, consigli di lettura, spigolature e cose varie. Siete tutti i benvenuti, voi che seguite il laboratorio a Pavia e voi che invece non sapete neanche dove sia, Pavia, e non potrebbe fregarvene di meno, ma vi piace tanto tanto tanto scrivere.